Studenti di medicina a maggior rischio di depressione ?

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Studenti di medicina a maggior rischio di depressione

 

Il 6 dicembre del 2016 è apparso sulla prestigiosa rivista dell’Associazione Medica Americana JAMA un articolo che è stato immediatamente ripreso sul TIME da Mandy Oaklander, con il titolo 27% degli studenti di medicina sono depressi, e poi anche dalla CNN. L’esame di 200 studi pubblicati su 129.000 studenti in 47 paesi ha indicato che il 27% aveva sofferto di depressione o di sintomi depressivi, con un’incidenza da due a cinque volte più elevata di quello della popolazione generale. Nella pubblicazione del JAMA tra i 47 paesi considerati non compare l’Italia: non è chiaro se ciò sia dovuto al fatto che gli studenti italiani a differenza di quelli di altri paesi non vanno incontro ad episodi di depressione, o se a ciò non viene prestata attenzione.

Questa elevata incidenza segue l’allarme della Organizzazione Mondiale della Salute per l’apparente epidemia di depressione che si starebbe diffondendo nella popolazione generale. I criteri diagnostici impiegati però non distinguono tra forme di malattia depressive, e difficoltà di adattamento ad eventi di vita stressanti, accompagnate da calo dell’umore ed emozioni quali tristezza ed infelicità.

Un autorevole sostenitore di ciò è Allen Frances, psichiatra americano che è stato a capo del gruppo di lavoro che ha approntato la quarta edizione del Manuale Statistico Diagnostico dei Disturbi Mentali, che dagli anni 60 è il mezzo più impiegato per la diagnosi di depressione. La posizione di Frances è ben chiarita dal titolo stesso del suo libro del 2013, Saving Normal: An Insider’s Revolt Against Out-of-Control Psychiatric Diagnosis, DSM-5, Big Pharma, and the Medicalization of Ordinary Life (Salvare i normali: La rivolta di un addetto ai lavori contro la diagnosi psichiatrica fuori controllo, il DSM-5, l’industria farmaceutica e la medicalizzazione della vita di ogni giorno).

Appare così come la psichiatria americana, nel caso in cui condizioni di vita difficili causano reazioni emotive non patologiche, proponga una medicalizzazione impropria che sposta l’attenzione dal contesto sociale a quello sanitario. Appare anche desiderabile che venga posta attenzione all’organizzazione del corso degli studi di medicina, in maniera da limitare l’elevato carico stressante cui gli studenti sono esposti, che può limitare la qualità della loro vita, ed eventualmente anche il progresso nel loro currriculum professionale.

 

 

Tullio Giraldi

Professore di Psicologia Clinica e Neuropsicologia

Università di Trieste

 

Pubblicato come “L’intervento” su “Il Piccolo” del 29 luglio 2017